giovedì 12 maggio 2016

CAMPANIA - GLI SCAVI DI ERCOLANO, LA CITTA' DISTRUTTA DAL VESUVIO INSIEME A POMPEI


Secondo la tradizione mitologica, fu Ercole, di ritorno dalla Iberia, dove aveva compiuto la decima delle sue dodici fatiche catturando la mandria del mostro Gerione, a fondare la città. Da qui derivano il nome latino Herculaneum ed il nome greco Herakleion. Delle origini greche della città non restano che pochi metri delle mura più antiche. I cardini (le vie principali qui parallele al litorale) ed i decumani (le vie secondarie qui perpendicolari al litorale), disposti perpendicolarmente, fanno pensare alla antica Neapolis. I greci di Neapolis e di Cuma dominarono Ercolano a partire dal VI sec. a.C., mentre un secolo più tardi prevalsero i Sanniti, a cui la città rimase legata per alcuni secoli. Tra il II ed il I sec. a.C. Ercolano combatté contro Roma nella cosiddetta "guerra sociale". Nell'89 a.C. fu espugnata da un legato di Silla e, come altri centri vinti e sottomessi, divenne in seguito municipium.  Nel secolo successivo alla conquista, conobbe un notevole sviluppo demografico, politico e urbano, grazie alla sua invidiabile posizione geografica ed al clima assai mite che attiravano i patrizi romani.


Ercolano era una piccola città, la cui superficie urbana doveva essere un terzo di quella di Pompei, ed ospitava una popolazione di 4000-5000 abitanti. Era posta lungo le estreme pendici del Vesuvio, su un promontorio lambito da due corsi d'acqua che a sud si affacciava sul mare. L'aspetto è profondamente mutato soprattutto a causa di due eventi, le eruzioni del Vesuvio del 79 d.C. e del 1631, che incisero profondamente sulla  fisionomia dei luoghi, rialzando il livello del terreno di oltre venti metri rispetto all'antichità. Mentre Pompei era una città prevalentemente mercantile, Ercolano, pur potendo contare su un fiorente commercio e artigianato, era soprattutto un rinomato e signorile centro di villeggiatura. Abbondavano le eleganti dimore patrizie, ricche di raffinate decorazioni, poste in posizione panoramica sulle pendici di verdi colline coperte di vigneti.   


La vita doveva svolgersi con un ritmo blando e rilassato, tipico dei centri scelti dai patrizi romani per i propri ozi, senza le attività commerciali che animavano Pompei. Nel 63 d.C. questa pacifica vita fu interrotta da un rovinoso terremoto che devastò tutta la regione campana. Per risanare gli edifici, gravemente danneggiati, furono necessarie imponenti opere di restauro e, spesso, di ricostruzione. Fu solo il preludio ad una catastrofe molto più grave. Il 24 agosto dell'anno 79 d.C. la città di Ercolano che era ancora un cantiere a cielo aperto per riparare i danni del terremoto, fu travolta da un immenso fiume di fango e detriti prodotti dalla spaventosa eruzione del vulcano, lungo le cui verdi pendici si era sviluppata. Non furono lava, cenere, rocce incandescenti e lapilli come a Pompei, ma il risultato finale fu molto simile. La città fu letteralmente inondata da fango bollente che, nella sua corsa lungo i pendii, spazzò via gran parte di quanto incontrava nel suo cammino, invadendo ogni costruzione.
La popolazione ebbe probabilmente il tempo di cercare di scappare, ma un violento maremoto respinse le imbarcazioni a riva, impedendo loro di prendere il largo. Tale tesi è confermata dal recente ritrovamento di resti umani e di imbarcazioni lungo il litorale.   


Finita l'eruzione, Ercolano era coperta da uno spesso strato di fango che, in certi punti, superava i dieci metri e che ne decretò la cancellazione dalla storia. Abbandonata da tutti, la città non venne mai più ricostruita. Solo più tardi, ai suoi margini e in parte sull'area dove sorgeva, si sviluppò il modesto abitato di Resina.
Paradossalmente, il fango che aveva sommerso la città l'ha preservata fino ai nostri giorni. Infatti, essiccandosi e solidificandosi nel corso degli anni, si è trasformato in una specie di spessa e compatta coltre che, aderendo a ogni singola struttura e suppellettile, ha protetto le vestigia, conservando tra l'altro i piani superiori delle case.    Da un lato, numerose strutture murarie di edifici pubblici e privati sono risultate gravemente danneggiate dall'onda d'urto, dall'altro interi ambienti sono stati riportati alla luce praticamente intatti, non solo nelle murature, ma anche negli arredi (dipinti murali, statue, opere a mosaico, addirittura mobilio). Sono anche giunte fino a noi strutture in legno, un materiale che, in assenza di una adeguata protezione, si deteriora facilmente. La presenza su tutta la città di uno strato duro e compatto ha evitato le spogliazioni da parte di ladri di antichità, date le grandi difficoltà dello scavo. Questi problemi li hanno sperimentati anche gli archeologi che intendevano riportare alla luce la città.   
Fu ritrovata casualmente nel 1709, in seguito allo scavo di un pozzo

 

 

EDIFICI

 La casa del Grande Portale deve il suo nome all'elegante portale di ingresso, incorniciato da colonne in laterizio, con capitelli corinzi decorati da "vittorie". La disposizione degli ambienti interni, che si aprono su un vestibolo coperto, ha fatto ritenere agli studiosi che l'abitazione sia in realtà un rimaneggiamento di una parte della vicina casa Sannitica, eseguito in età imperiale.

 

La casa a Graticcio è così chiamata per la tecnica usata nella costruzione della muratura, con intelaiatura a graticcio in legno o o canne, colmata con materiali poveri e calce ("opus craticium"). Si tratta di un interessante esempio di casa popolare composta da due abitazioni separate e dotate di due ingressi autonomi che venivano affittate da famiglie diverse. E' da notare anche la balconata sorretta da colonne  che corre lungo il lato della strada.
La casa dei Cervi, costruita probabilmente tra il 41 e il 68 d.C., è una delle case più eleganti e raffinate trovate a Ercolano. L'edificio è un ampio rettangolo con il lato maggiore di 43 metri suddiviso in due zone: una settentrionale, comprendente gli ingressi e gli altri ambienti di abitazione, e una meridionale, formata da terrazze affacciate verso il mare e collegate da un quadriportico a finestre. Dall'atrio coperto, con pareti formate da elementi architettonici su fondo nero fino a metà altezza e su fondo bianco nella restante metà, si accede al triclinium, notevole per la raffinata decorazione marmorea che ricopre il pavimento; in questa sala è stato trovato il gruppo scultoreo dei "cervi assaliti dai cani", da cui la intera abitazione ha preso il nome.  Si passa poi nel "cubiculum", con pareti dipinte di rosso e pavimento marmoreo, e da qui a una sala con soffitto a volta, abbellita da uguale decorazione, in cui è stata scoperta la piccola statua del "Satiro con otre". Attraversato il grande giardino, intorno a cui corre un quadriportico a finestre con pavimento mosaicato e pareti decorate da eleganti affreschi raffiguranti "Giochi di amorini", si entra a sud nell'ampio "triclinium" estivo, ai cui lati si apro no due piccole stanze ornate di marmi preziosi, seguito da una loggia con quattro pilatri, affiancata a sua volta da due ambienti: in uno di questi fu trovata la statua dell'"Ercole ebbro".
  
La casa di Argo è una  abitazione sicuramente appartenuta ad una famiglia benestante del patriziato romano. L'aspetto più interessante è il portico scandito da colonne e pilastri che chiudeva su tre lati il giardino. A questo primo peristilio, che venne in luce durante la campagna di scavi del 1828-1855, se ne aggiungeva un secondo, solo in parte recuperato, lungo il giardino; su quest'ultimo poi si apriva un grande ambiente (sala tricliniare), originariamente decorato da un affresco, ora scomparso, raffigurante "Io guardata da Argo", che diede il nome alla casa.   
La casa del mosaico di Nettuno ed Anfitrite è una elegante dimora a due piani, caratterizzata da un elegante "triclinium" estivo con ninfeo, abbellito da alcune decorazioni policrome a mosaico, raffiguranti tra l'altro "Nettuno e Anfitrite" e "Scene di caccia". La bottega annessa alla casa è tra le meglio conservate dell'antichità. Si sono conservate in perfette condizioni le strutture lignee e gran parte dell'arredo.

AUGUSTAEUM

L'articolazione di questo edificio, ancora sepolto sotto la città moderna, è nota grazie alle descrizioni e alle planimetrie delineate nel Settecento, quando fu esplorato attraverso gallerie sotterranee con contestuale asportazione di numerose pitture, sculture e iscrizioni ora conservate nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli. L'edificio, costruito negli anni centrali del I sec. d.C., si configurava come una grande piazza bordata da portici e con  una esedra al centro del lato di fondo, inquadrata da due absidi laterali. Il lato di ingresso era preceduto da un portico ad arcate, compreso tra due grandi archi quadrifronti rivestiti di marmi e di rilievi in stucco. E' questo l'unico settore attualmente in luce e si impone alla vista l'arco quadrifronte orientale; l'arco occidentale solo di recente è riaffiorato dal fango vulcanico al margine nord-ovest dell'area scavata a cielo aperto, durante i lavori eseguiti nell'ambito dell'Herculaneum Conservation Project per riaprire un cunicolo borbonico che collegava il decumano massimo con il teatro. Come tutti i grandi portici pubblici dell'Italia romana, anche quello ercolanese poteva assolvere a molteplici funzione, ma la grande quantità di sculture degli imperatori e di personaggi delle loro famiglie e l'enfasi posta sulla esedra di fondo fanno propendere per la identificazione con un edificio dedicato al culto imperiale (Augusteum). La grande esedra triangolare accoglieva infatti la statua di Tito in corazza, l'imperatore regnante al momento dell'eruzione, fra le statue colossali di due imperatori divinizzati, rappresentati secondo il tipo statuario del Giove Capitolino, restaurate nell'Ottocento con i volti di Augusto e di Claudio, ma che probabilmente dovevano raffigurare Augusto e Vespasiano.

Fin dal momento della sua costruzione, grazie a dediche di statue, raffiguranti imperatori regnanti, imperatori divinizzati e personaggi delle loro famiglie, l'edificio si arricchì di una imponente galleria di sculture. Sono finora attestate otto iscrizioni di dedica di altrettante statue che costituivano un grande ciclo statuario di omaggio alla casa imperiale giulio-claudia, posto a proprie spese negli anni 49-50 d.C. dall'Augustale L. Mammius Maximus, al quale gli Ercolanesi, riconoscenti per questo atto di munificenza, dedicarono  a loro volta una statua di bronzo nel teatro.  Il ciclo statuario donato dall'Augustale (Livia Diva Augusta, Agrippina Minore, Nerone Cesare o Britannico, Divo Augusto, Tiberio, Germanico, Antonia Minore,  Claudia Ottavia, figlia di Claudio e di Messalina, scoperta nel 2008) fu poi aggiornata in età flavia (dediche di statue poste dai decurioni per Flavia Domitilla, moglie di Vespasiano, per Domizia, moglie di Domiziano, per Giulia, figlia di Tito), quando si procedette anche a un rinnovamento della decorazione pittorica dell'edificio.  Molti pannelli con temi mitologici furono asportati dagli esploratori borbonici e, al pari delle sculture e delle iscrizioni, sono conservate al Museo Archeologico di Napoli; fra questi si ricordano i celebri quadri:
  • il ritrovamento di Telefo da parte di Eracle in Arcadia;
  • Achille che apprende l'uso della lira, il più nobile degli strumenti musicali, dal centauro Chirone
  • Teseo vincitore del Minotauro;
  • Medea che medita l'uccisione dei figli;
  • Olimpo che apprende l'uso del flauto dalSileno Marsia.

Molto dibattute sono la disposizione originaria delle pitture asportate e l'interpretazione complessiva del programma ideologico che aveva ispirato la intera decorazione dell'edificio.

 

La casa del rilievo di Telefo, una delle più eleganti e spaziose del quartiere marittimo, è disposta su due livelli;  possiede un atrio colonnato con  frammenti ricomposti di due rilievi raffiguranti corse di quadrighe; le colonne sostengono gli ambienti posti al piano superiore. Dall'atrio, un corridoio conduce al peristilio, che fa da cornice a un giardino abbellito da una vasca rettangolare con fondo azzurro collocata nel centro. Sull'adiacente terrazza scoperta si aprono alcune stanze che conservano parte della originaria decorazione pittorica e musiva; in una di queste si trova la più bella decorazione di casa in marmi colorati, giunti fino a noi dalla antichità. Un a sala più piccola è ornata dal rilievo raffigurante il "mito di Telefo" che ha dato il nome alla casa.



Nei pressi delle Terme Suburbane si apre una ampia terrazza dedicata a Marco Nonio Balbo ed al suo monumento funerario. Questo era rivolto verso il mare e su una base di marmo stava la statua di Balbo rivestita di una corazza.

PIANTA DELLA CITTA'














PLASTICO DELL'ANTICO TEATRO






E' esposto il modello in legno e sughero del Teatro realizzato nel 1808 per scopi didattici da Domenico Padiglione su proposta del soprintendente Michele Arditi.


VISTE DALL'ALTO













Vista dall'alto del Decumano Massimo

 

IL DECUMANO MASSIMO 

Le botteghe

CASA DEI CERVI (14)



 

 


 

 

CASA DEL RILIEVO DI TELEFO (26)










 

CASA DEL GRANDE PORTALE (18)

Decoazioni

 

CASA DELL'ATRIO A MOSAICO

 

CASA A GRATICCIO







 

CASA DEL TRAMEZZO DI LEGNO

 

 CASA DEL MOSAICO DI NETTUNO E ANFITRITE














LA TERRAZZA DI MARCO NONIO BALBO (L)

















Accanto alla Terrazza ci sono le Terme Suburbane 

 

Statua  equestre di Marco Nonio Balbo






Statua in nudità eroica di Marco Nonio Balbo, conservata al Museo Archeologico Nazionale

CASA DI ARGO

AUGUSTEUM



Ricostruzione




Teseo vincitore del Minotauro


Achille che apprende l'uso della lira, il più nobile degli strumenti musicali, dal centauro Chirone




Medea che medita l'uccisione dei figli


 

 

 

IL VESUVIO








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